II.4 "Todo sobre mi madre"
"Vivente!"
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(segue)
È arrivato il momento di dire che, mentre il solitario resta lì, l’artista e il muscoloso raggiungono la camera di lei e di Silvia – che bofonchia prona sul suo letto. Bofonchia, mugola. Ridacchia. Con quel sottofondo, una specie di musichetta stonata, il muscoloso e l’artista si mettono a conversare sul niente. Scemenze. Non c’è granché da dire. O meglio, ci sarebbe parecchio da dire. Ma è troppo tardi, Silvia è ubriaca e lei – lei – al momento sembra solo preoccupata che l’amica vomiti all’improvviso sulla coperta o sulla moquette.
“Perché prima o poi vomita. Sicuro.”
“No, no, tranquilli...” risponde l’interessata, sempre restando prona, come svenuta a faccia in giù. E ride, prolungando una i a dismisura, un nitrito tenue, quasi delirante.
Gli altri sbarrano gli occhi, e ridono pure loro. Ma è arrivato il momento di dire ciò che non è ancora stato detto.
E cioè come lei sia, in fondo, una spettatrice più divertita che davvero coinvolta in tutta questa vicenda. Al muscoloso, saperlo non farebbe forse nemmeno troppo male: sarebbe forse solo un po’ stupito dal dover ratificare l’indifferenza di lei sul quel piano. Il piano, diciamo così, fisico. Sì, per carità, ammetterebbe senza problemi che il muscoloso è un bel ragazzo, ma non prova niente di specifico, non è attratta. Il muscoloso se ne farebbe una ragione senza nemmeno troppa stizza. Anche se non è divertente, non è simpatico sapere di non piacerle da quel punto di vista.
L’artista si è invece costruito un castello di carte su segnali che crede di avere avuto e che no, non erano segnali. Le ha chiesto – in effetti ha avuto il coraggio di chiederglielo! – di mettersi insieme, lei è scoppiata a ridere e lui ha interpretato quella risata come un modo per coprire l’imbarazzo. Ha scambiato la confidenza, il tempo passato insieme, cantare, fare gli scemi con le parrucche, per qualcos’altro, ha voluto vedere un resto che non c’era. Ti voglio bene, lei dice. Ti voglio bene, dice lui. Ma legge dietro la frase quello che non c’è.
E il solitario? Be’, il solitario lei lo guarda con un misto di curiosità e di perplessità. Un po’ lo studia; un po’ – ecco, un po’ si incazza. Per come sfugge, per come resta di lato, per come risponde freddo. Poi capita che si metta a pensare a perché si è incazzata, a perché le ha dato fastidio – la parola giusta è questa, fastidio – quella risposta a mezza bocca, o peggio, quello sguardo che le è sembrato di sufficienza. Non era di sufficienza ma le è sembrato di sufficienza, e tanto basta. Ma in un moto di irritazione c’è una presa a cuore, ci arrabbiamo per ciò che non ci lascia del tutto impermeabili. Ci arrabbiamo un istante prima di dire: chi se ne frega. Ma appunto, ci siamo arrabbiati, ci siamo storti, ci è venuto un nervoso ma un nervoso ma un nervoso. Va be’, chi se ne frega. Però no. ’Sti cazzi. Però no. Poi si distrae. Poi parlano, non è più distratta.
Le piace quando parlano. Le piace ascoltarlo.
È la frase che le sfugge mentre Silvia si è finalmente addormentata. Non sa nemmeno bene come sia arrivata lì, a dire a loro che le piace sentirlo parlare, che le piace parlare con lui, quando “il signorino si concede”. Dice più o meno così, quando al signorino gira bene, quando il signorino si concede.
Loro nemmeno sorridono, fanno qualcosa come un attonito “ah” con lo sguardo, o un’emissione vocale fioca, quasi inudibile. Ah.
E lei per fortuna passa ad altro, ma la frase si è impressa nella testa dell’artista. Il muscoloso riconosce nell’altro il morso della gelosia, come uno spasmo. Potrebbe fare la stessa domanda fatta al solitario: “Sei geloso?”, ma conosce la risposta, è inutile. Lui sul piano delle parole non compete, né gli interessa. Vedetevela voi, a questo punto.
“Sentiamo...” fa l’artista per provocare lei. “Di che avete parlato di così importante?”
“Ma boh” risponde lei, e senza volerlo lo rassicura. Poi, come fosse stata raggiunta da un’illuminazione celeste, aggiunge: “Libri”.
“Ah”. Di nuovo.
Non ha nessuna voglia di condividere la cosa, non le interessa. Ma un giorno uscendo da scuola lui le ha chiesto di accompagnarlo in libreria. Doveva ritirare un libro che aveva ordinato. Le ha detto: “Se non è arrivato nemmeno oggi, sfascio il negozio”. L’ha detto ridendo, con l’aria di uno che non sfascia niente. Forse per la prima volta nella sua vita le è venuta curiosità per un libro, o meglio per un libro che qualcuno attende con tanta ansia. Un libro. “Chiedilo in un’altra libreria” suggerisce lei, potendo offrire il senso pratico. “No, se poi arriva qui e nel frattempo l’ho comprato altrove come si fa?”. Le sembra una preoccupazione eccessiva. Comunque il libro c’è. È un piccolo libro con una copertina di colore viola acceso, una specie di fucsia. Sembra una vecchia edizione, un tascabile recuperato da qualche polveroso sottoscala. Lui se lo gira fra le mani come un cimelio. Lei, ecco, sì, adesso lo studia. Ha qualcosa di esotico ai suoi occhi quella concentrazione quasi estatica. Sembra – posso usare una parola facile? – contento. Lei (non è una posa) le chiede: “Posso vedere?”. Lui avvampa mentre si accorge che sulla copertina uno strillo stampato sopra al titolo dice: SESSO SENZA TABÙ. Abbassa gli occhi. A lei spunta sulle labbra un sorrisetto insieme timido e divertito. Non è come pensi. No, non è come pensi. Che può pensare, in effetti? Che la sua passione per i libri, che quell’appagamento per la copia conquistata abbia a che vedere con quella frase, con il sesso addirittura senza tabù? “Non lo sapevo”, dice il solitario, come dovesse giustificarsi. E lei in quell’istante sente una strana – strana – strana – tenerezza. Le piace che lui sia in difficoltà. Che non sappia bene cosa dire. Che sia un po’ arrossito.
Uscendo dalla libreria, il solitario si affretta a fornirle dettagli sul romanzo in questione che – “Senti, è uno dei libri più importanti di questo grande scrittore americano” (si accalora), “questo grande scrittore americano vivente” – quel participio presente lo pronuncia con una devozione, uno stupore, come se fosse un fatto di per sé incredibile l’esser vivi, l’essere vivo di quell’umano che scrive libri, che decenni fa ha scritto questo libro tradotto in un’edizione italiana e pubblicato con una copertina fucsia che dice SESSO SENZA TABÙ.
“Va bene, ma di che parla? A parte il sesso senza tabù” ride lei.
È preso alla sprovvista. “Da quello che so” dice, “parla – sì, parla anche di sesso. Di masturbazione. Eh. Ma parla soprattutto di come si cresce, come si diventa adulti a partire – ecco, a partire da una famiglia. O nonostante una famiglia. Insomma dello strano casino che è un rapporto fra genitori e figli”. Può dirle che già l’ha sfogliato, una volta, non ricorda più dove. Gli era rimasto impresso un capitolo tutto dedicato alle seghe. Va bene, questo non glielo dice. Adesso vorrebbe solo trovare all’impronta una frase, una frase che dev’essere a spanne nelle prime trenta pagine, ma è troppo agitato per trovarla, sfoglia e finge di non cercare niente, stanno camminando verso la fermata dell’autobus, forse potrebbe riassumerla, parafrasarla, dirla come può, come viene, ma no, deve essere quella esatta,
Senta dottore, di cosa mi conviene liberarmi, dell’odio, o dell’amore?
Ma non la trova. Non adesso. E nemmeno sa, non può saperlo, la bellezza di quanto segue, dove lo scrittore allora vivente evoca quei ricordi legati a una certa ora del giorno, a una certa luce, che di colpo ti esplodono in testa talmente vividi che non sei più in metropolitana, o in ufficio, o a cena con una bella ragazza, ma di nuovo lì, nella tua infanzia. Che poi magari sono fatti di niente, eppure sembrano importanti almeno quanto il momento in cui si è stati concepiti.
(continua)




Un altro capitolo breve, ma denso, molto importante ai fini della storia. Un passo avanti nel raccontare la palestra delle relazioni con gli altri e la definizione del proprio essere. C'è la distinzione tra il piacere sul piano fisico e il piacere sul piano delle parole. C'è lo sgorgare di tante sensazioni anche contrastanti, anche maldestramente interpretate e l'inizio di una introspezione che promette l'avventura della crescita consapevole. Curiosità, perplessità, irritazione, presa a cuore, imbarazzo, tenerezza, una gamma di sfumature del "guazzabuglio del cuore". Capitolo importante perché emergono due novità: la presenza non solo evocata di lei (in corsivo), trattata come fulcro e leva per analizzare gli altri personaggi e studiata nel suo lavoro di autoanalisi; la comparsa di un piccolo libro fucsia, oggetto magico di avvicinamento precoce del solitario alla letteratura di un grande scrittore vivente. Ma anche oggetto magico di attrazione per lei, che sperimenta la meraviglia di scoprire quanto le parole di quello scrittore sappiano esprimere la nascita esplosiva di un ricordo d'infanzia e quanto sia bello fare tesoro di una frase limpidissima e rivelatrice. Dietro a quel libro, che parla di "sesso senza tabù" e di rapporto fra genitori e figli, c'è la ricchezza di due bussole irrinunciabili per un adolescente e non solo. Dietro a quel libro ci sono due scrittori, Philip Roth e l'autore, e tanti, tanti lettori, oltre al solitario e oltre a lei. Riconoscersi nel parlare con un altro, nell'ascoltarlo. Riconoscersi nelle parole di un libro. Una doppia prodigiosa scoperta che può cambiare la vita.
Finalmente lei! Ed è subito gioco di sguardi: noi la guardiamo mentre lei assiste divertita alla vita che le passa davanti. Provo un po’ di tenerezza per questo artista che vuole “vedere un resto che non c’era” e oggi tifo per il solitario che - lo immaginavo! - tanto le smuove dentro, perché è bello parlare con lui. Anche se questo solitario è un po’ strano. Perché le chiede di accompagnarlo in libreria? Un libro atteso… sul “sesso senza tabù”. Ci mancava soltanto che lei iniziasse a sfogliarlo e magari leggesse un titolo di capitolo come “Sbatterselo”! Forse lei avrà pensato che lui era tutto diverso da come se l’era sempre immaginato e si sarà ripromessa di riuscire a spogliarlo almeno in parte del suo mistero. Eppure lui sembra solo preoccupato di comunicarle che esistono scrittori “viventi!” che scrivono frasi per cui appassionarsi. Perché se le parole su una pagina ci catapultano lì, nella nostra infanzia, abitiamo per un tempo infinito quello che perderemo per sempre. Siamo diventati altri (speriamo più uomini che topi), siamo quello che le nostre scelte ci hanno portato a essere. E ci commuoviamo di fronte alle innumerevoli possibilità che non abbiamo percorso. Anche noi giochiamo oggi con uno scrittore “vivente!” che fin dall’inizio di questo viaggio, di cui come sempre ringrazio, ci aveva rivelato quanto sia “preziosa” la vita “vissuta prima di diventare scrittore” e ormai “perduta”. Preziosa per lui, preziosa per ognuno di noi.