III.1 "Matrix"
In ritardo
Le puntate precedenti si leggono qui
Prima di (ri)cominciare. Questa puntata arriva in ritardo, perché qualche volta capita di trovarsi dopo una notte quasi insonne con un po’ di malessere da smaltire e un viaggio in pullman da fare; l’intenzione di scrivere viene disintegrata dal sonno e dalla scomodità. Ma poi si arriva in un luogo di montagna che, come si vedrà a fine puntata, offre un ottimo pretesto - come scoprirete - per portare la storia dove non era previsto. Quando ho cominciato questa avventura, ho pensato che gli imprevisti sarebbero stati linfa. L’accadere inatteso è carburante. Il gioco è anche questo: farsi suggerire qualcosa dal presente.
Per il resto, segnalo che su Rivista Studio è uscito un interessante articolo sull’uso di Substack nella narrativa, e viene citato anche questo progetto. Si può leggere qui.
A fine luglio farò una diretta Instagram sul profilo paolodipaolof (presto i dettagli) per discutere insieme dell’impresa; e l’ultima puntata - lo annuncio fin d’ora - sarà letta in pubblico alla Festa del Racconto di Carpi il prossimo 4 ottobre. Ma le sorprese non sono finite. (pdp)
(segue)
Leggere i giornali può essere un vantaggio nella mattina del tema in classe. Mentre gli altri guardano nel vuoto, mentre sfogliano inutilmente il vocabolario, come se le parole giuste dovessero prendere a zampillare da quelle pagine sottili e stamparsi da sole sui fogli protocollo, mentre certe penne biro sembrano poco disponibili a collaborare, e c’è chi fa quel gesto bellissimo – nervoso, primitivo – di riscaldarne la punta con il fiato, o di farle rotolare contro i palmi delle mani stretti l’uno sull’altro. Non serve.
Allenta la tensione, a quel punto, anche solo chiedere a qualcuno se ha una penna in più. O provare – provare – ad andare in bagno: per prendere tempo. Ma no, prima di un’ora, un’ora e mezza non verrà concesso. Amen.
L’artista, comunque, deve avere trovato l’ispirazione, perché sembra partito in quarta. Scrive. Scrive soddisfatto, calca sulla carta, ci mette un’energia fisica esuberante. Il muscoloso chiede al solitario, bisbigliando, un consiglio sulla traccia da scegliere. “Quella sulla tecnologia, facciamo quella sulla tecnologia”.
Nel plurale il muscoloso coglie una mano tesa. Scrivere non è facile. Nemmeno tradurre dal latino, per carità. Ma scrivere – scrivere è una rottura di palle. Questo pensa.
Non che non abbia opinioni. Tutti hanno opinioni. Ma metterle in fila, ordinate, limpide, be’, è un’altra storia. E poi gli pare che il grosso, la sostanza, possa stare in tre o quattro righe, che non c’è bisogno di quattro colonne di foglio protocollo fitte, che è come annacquare, tirarla per le lunghe. Né si può consegnare un compito in classe di italiano striminzito.
Il muscoloso comincia a buttare giù qualcosa in brutta, incerto, svogliato. Confida nel fatto che il solitario accanto a lui finirà prima e gli offrirà qualche dritta. O semplicemente lo lascerà sbirciare. Sulla sinistra, un paio di banchi più avanti, entrambi aspettano che lei si volti, anche solo per poco per pochissimo, per intuire dalla sua espressione il livello di ansia rispetto alle tracce. Per ora continua a dare le spalle, e sfoglia il vocabolario anche lei.
Il solitario pensa che sfrutterà un articolo di giornale letto qualche settimana fa, ha strappato la pagina e l’ha messa via – come fa spesso, per accorgersi con fastidio della piletta di ritagli accumulati inutilmente sulla scrivania. Un po’ gli piace, un po’ no. Gli piace l’idea che la sua cameretta cominci a somigliare alla tana di un intellettuale. Compra libri quando può. Ne recupera di vecchi e ingialliti dal piccolo patrimonio familiare in mansarda, perlopiù antologie scolastiche di decenni lontani. Gli pare di ridare nuova vita a quelle pagine che qualche volta letteralmente si sbriciolano. Gli piace l’idea che si siano impregnate d’aria di sole magari anche pioggia di giornate lontane, giornate in cui non ha messo piede, giornate in cui lui non era neanche un’ipotesi vaga. Così il tempo – il passato! – si estende, si protrae, vive oltre sé stesso. In qualche modo resiste.
Quanto ai giornali, è difficile dire come e perché sia nata questa abitudine quasi quotidiana. Prende il “Corriere”, o “Repubblica”, al mattino – all’edicola di Franca – e ficca nello zaino la copia con religiosa cura, attento che non si facciano pieghe e orecchie. I polpastrelli restano neri anche dopo una rapida scorsa. Capta qualche titolo, va sulle pagine della cultura. Dopo pranzo, come un pensionato, si dedicherà a una lettura più attenta.
Ha tirato via la pagina sulla grande rivoluzione di Internet. Ricorda qualcosa, non quanto vorrebbe. E si maledice per avere rinviato l’approfondimento: sarebbe prezioso, vitale, per questo stupido tema sull’avanzata delle tecnologie informatiche nel ventunesimo secolo appena cominciato. Cominciato davvero? Quella di matematica ha fatto tutta una tirata sull’errore di calcolo, sul fatto che l’umanità si sia entusiasmata di fronte a un passaggio di secolo e millennio che, a sua detta, deve ancora compiersi. Il 2001, ragazzi, è il 2001 che dobbiamo attendere. Al terzo millennio si brinda il prossimo capodanno, insiste, ma nessuno la prende sul serio. E non per ragioni di scarsa confidenza con i numeri, ma perché sarebbe grottesco pensare di riavvolgere il nastro, di dire a miliardi di umani avete sbagliato, questo 2000 su cui vi siete ubriacati drogati eccitati accoppiati non era la data buona. Facciamo che erano le prove generali per il 2001. Mah!
Dell’articolo che ora vorrebbe citare, di quell’articolo – be’, ecco. Si sforza di recuperare dettagli, scende in sé stesso come un palombaro, nelle acque torbide della memoria a medio termine. E sì, ecco, vede.
Camaleonti. Ricci. Castori. Li vede come gli zampettassero sulla lastra di fòrmica verde del banco. Li vede, li riconosce.
Due colonne, un titolo in alto a sinistra sulla pagina – Camaleonti, ricci, castori. Un intellettuale tedesco di cui non ricorda il nome, un nome lungo, impronunciabile, parlava dei pro e dei contro della civiltà digitale. Ah, se potesse citare testualmente. Ma insomma dirà che nel dibattito sui possibili cambiamenti sociali innescati dalla rivoluzione di Internet, pensatori e studiosi
si confrontano sui rischi e sulle opportunità, guardandosi bene dal mettere in dubbio il potenziale. Ma ricordando come in altre epoche e per altre invenzioni, sarà necessario attendere prima di cogliere il reale valore d’uso. La Rete ha un carattere intrinsecamente democratico: ciascuno avrà la possibilità di esprimersi.
Non è soddisfatto, guarda l’orologio, non c’è tempo da perdere. Si gioca questa immagine curiosa dei camaleonti – i duttili, i cangianti detentori di risorse immateriali –, dei ricci, protetti dalla corazza di spine degli apparati o delle pigre istituzioni in cui si inguattano. Burocrati, funzionari. E i castori? Sono la specie a rischio, quelli che – occupati nei settori produttivi classici – vedranno progressivamente contrarsi o sparire le loro mansioni.
Mentre scrive, sente che non va; che l’ha agganciata male. Che manca qualche nesso. Perché, in fondo, parla di camaleonti, ricci e castori, se non per rubare un’immagine brillante all’articolo che ha archiviato? Ma letto male, o non abbastanza attentamente. D’altra parte, non ha fissato l’ulteriore categoria proposta dall’intellettuale tedesco, la sottoclasse dei perdenti e degli esclusi. Piegato sulla scrivania della sua cameretta il foglio di giornale datato 15 gennaio 2000 è lì a specificare che
“Nessun animale simbolo lo scrittore tedesco sa trovare per la quarta classe, persone incompatibili con il catalogo delle virtù del capitalismo digitale e, in questa prospettiva, superflue. A livello mondiale sono la stragrande maggioranza. Ci possono essere alcuni milioni di esclusi per libera scelta, virtuosi dell’individualismo. Ma la sostanza vera della Sottoclasse è purtroppo un’altra cosa: disoccupati, profughi, gente senza formazione, madri singole che trovano nel migliore dei casi lavori sottopagati, oppure finiscono nel lavoro nero, nella prostituzione, nella criminalità. Attenzione, allora. Il capitalismo digitale può solo rafforzare queste tendenze. Le conseguenze politiche di questo sviluppo sono incalcolabili”
Ma lui è in classe, l’articolo di giornale è a casa, e sente che no, lo sviluppo del tema non funziona. Le immagini brillanti delle categorie social-animalesche sono appiccicate con lo sputo, direbbe brutalmente il muscoloso, a cui è quasi convinto ora di passare la brutta e lasciargliela in dono. Ma lui si confonderebbe tra camaleonti, ricci e castori; per questo il solitario tira una riga netta, cancella mezza pagina e riaggancia dalla frase che dice La Rete ha un carattere intrinsecamente democratico: ciascuno avrà la possibilità di esprimersi.
Certo, non vanno sottovalutate le minacce delle grandi concentrazioni di potere, di un condizionamento forte e non necessariamente visibile, di una omologazione
La parola omologazione ci sta bene, ci sta benissimo. Anche fosse il tema del muscoloso. Globalizzazione e omologazione sono i passe-partout lessicali dei temi d’attualità. È bene, pur avendo sedici anni, mostrarsi dubbiosi, più che perplessi sugli sviluppi della tecnica, sul progresso in genere, spingere più sul pedale del pessimista quasi apocalittico che su quello dell’ottimista. Alla professoressa piacerà che si colga, nella energica espansione del mondo computerizzato, l’indebolimento di tutto ciò in cui occorre ostinarsi a credere – che so, la scrittura a mano, i libri, i giornali. Questi giornali che cominciano a morire come immense falene (è una frase di Ray Bradbury, nel suo libro più famoso, che il solitario leggerà fra qualche anno). Come immense falene!
Dai, muscoloso, pigliati questa brutta copia, aggiungi qualcosa, io faccio l’altro tema, questo non mi piace più, mi pare di non dire niente, di girare a vuoto. Il muscoloso si impossessa furtivamente del foglio protocollo dell’amico, lo scorre per verificare che non sia illeggibile, e poi ha un sussulto, fa una specie di salto sulla sedia, una penna scivola giù dal banco, lui si dà un colpetto sulla fronte bassa, per dire a sé stesso: come hai fatto a non pensarci prima? E a voce bassa ripete due volte: Matrix, Matrix.
Matrix, già.
Come abbiamo fatto a non pensarci?
Il solitario si era addormentato durante la proiezione verso metà film. Svegliandosi, aveva capito ancora meno del poco che stava capendo.
Ma sorride compiaciuto all’intuizione del muscoloso. Lo incoraggia.
E lui, con un’angoscia che per qualche istante ostacola qualunque slancio creativo, prova a ricominciare da zero, da una traccia che aveva scartato, sul rapporto tra i luoghi e la memoria. Va bene, faccio questo. Pensa allo scrittore americano del sesso senza tabù. Pensa – adesso che l’ha letta può pensarci – alla frase sui ricordi che ti esplodono in testa, quei ricordi legati a una certa ora del giorno, a una certa luce, che di colpo ti esplodono in testa talmente vividi che –
E pensa che gli serve una strada di montagna, un sabato mattina di luglio. Qualcosa di molto preciso da raccontare. Anche se è in ritardo. Parecchio in ritardo. Qualcosa di esatto – di talmente vivido – che è come se fosse un presente intramontabile:
(oggi, Abruzzo)
Qui la mia lettura della puntata “In ritardo”
Qui la lettura di “Vivente!”
Qui la lettura di “La felicità dell’irrilevanza”
Qui la lettura di “Un pomeriggio con Laetitia Casta”





Quante sorprese in questa nuova puntata! Quanti regali di cui ringraziare! E il desiderio già pronto su un festival a Carpi. Che bello sarebbe esserci all’ultima puntata ascoltata in diretta. Esserci magari con Alma, con Mario, con Pietro… con quelli di cui non conosco i nomi ma che stanno leggendo con me questo romanzo. E la puntata di oggi mi ha aperto un nuovo orizzonte. Non saprei bene definire, ma mi sembra di vedere qui quel “nucleo saggistico nello spazio del romanzesco” di cui l’autore parla in un suo recente e bellissimo racconto. Una digressione? No. Almeno, non per me. L’articolo cui pensa il solitario seduto al banco me lo sono ingrandito e letto. Così quello nelle colonne vicine. E le parole sono diventate riflessione sul passato e sul futuro. Quante paure allora - e quante paure oggi con l’IA. Quante profezie dolorosamente avveratesi, ma anche quanti esiti del tutto imprevedibili. In questa sorta di iper-romanzo multimediale l’incursione nel territorio del saggio mi offre l’occasione per stare seduta di fianco al solitario, per dirgli che fa bene a lasciar perdere le sue elucubrazioni sul peso della tecnologia nel futuro del pianeta. L’uomo riuscirà a rimanere umano, anche se a fatica. Gli suggerirei di continuare a fare il palombaro, ma dentro di sé, per ascoltare i frammenti sparsi di una memoria adolescente e per raccontare quale verità gli abbia dischiuso quella strada di montagna. Poi però, consegnato il tema, gli direi: “E chiedigliela. Chiedile la traccia scelta. Parlale“. Forse si deciderebbe ad aprirsi a quella lei che nemmeno una gita di classe a Barcellona (ormai conclusa, valigie disfatte, spalle basse) gli ha fatto davvero avvicinare. Se lo facesse lui, forse anch’io potrei credere nel mio desiderio.
In ritardo ma ne valeva la pena, nell'email per tutta la giornata di venerdì non l'ho trovata mentre il mare di spam a cui mi sono iscritto negli anni, invece sempre lì presente, i giornalieri, i settimanali. Ma di 1999 niente. Mi sono preoccupato, devo dire la verità ma stamattina mi sono tranquillizzato. Devo dire, tanto è la verità comunque, questa puntata è molto più ragionata e sapevo che il tema in classe sarebbe arrivato, cos'altro manderà avanti la storia di lei e di lui se non la scrittura? Sì le letture, la relazione a tre, a quattro, ma la scrittura. E sono sicuro, almeno lo spero, salteranno fuori i diari, il diario di lei, il suo mondo, nel tema, nei temi, nelle confessioni con se stessa. Nei sogni e nei desideri che si fanno parola. Ragionato, tanto ragionato. Sembrano oggi sull'IA gli stessi discorsi di allora su internet. Oggi sarebbe il caos fermare internet, domani sarà il caos spegnere l'IA che ci controllerà tutti. Ma loro, noi, a 16 anni, che ragionamenti facciamo? Forse è una bella idea, a me la differenza è piaciuta tanto, tantissimo, quella del sabato libero invece del venerdì lavorativo. Io sto pensando che il 25 abbiamo la pizzata della nostra VF che festeggia i 40 anni dal diploma, tutti maschi in quell'aula del Galilei, per l'elettronica che non abbiamo mai visto, per i torni a controllo numerico imballati che nessuno sapeva usare, per una lei che non c'è mai stata in classe e tutti cercavamo fuori dalla scuola. Quella sera, come ad ogni nostro ritrovo, con compagni che vengono dall'estero per rivedersi, parleremo dei nostri temi in classe e se non le lacrime, perché siamo maschi adulti e alcuni già nonni esperti, le risate saranno intrise di questa dolce, amara, sublime mestizia che questa puntata mi ha regalato con la forza della ragione, con l'idea universale di essere protagonisti della nostra vita riflessa nello spazio tempo di uno specchio di parole che sono come quel sentiero di montagna del video, la via dell'emozione dei sensi, tutti insieme, vero Claudia? Grazie Paolo per questo viaggio che ci fa volare.