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Avatar di Claudia Lucca

Peccato dover aspettare una nuova settimana! Mi chiedevo che fine avesse fatto quel set del film horror in cui stava per succedere qualcosa che il solitario non avrebbe dovuto scoprire in ritardo. Spero che non lo scopra dalla lettura in classe del tema scritto da LEI. Sarebbe ancora più imbarazzante del giudizio della prof di lettere. E intanto questa nuova puntata mi tocca profondamente. Le parole non bastano. Non bastano certo per parlare di una guerra, quella del Kosovo, come quella contro Gaza oggi. Levi stesso lo diceva che la nostra lingua manca di parole per descrivere la demolizione di un uomo. E mancano le parole anche per esprimere le emozioni che attraversano il nostro corpo e il nostro animo nell’attimo rivelativo: chi siamo noi nell’universo, con queste molecole e questi genitori di una determinata età. Noi con questa nostra (e solo nostra) storia. Ecco… scrivere, che cos’è? “Quando trovo in questo mio silenzio una parola scavata è nella mia vita come un abisso”. Chi è in grado di trovare la parola capace di raccogliere quell’emozione e farla vivere al lettore? Certamente la prof di lettere ora, se leggesse le righe di questo romanzo a puntate, sentirebbe l’emozione del solitario. La sentirebbe TUTTA. Ma scrivere presuppone sentire, sentire intensamente, con un corpo di cui ci si fida e che invia segnali inequivocabili. E a volte, per le ragioni più disparate, le parole si perdono, scompaiono. Forse per recuperarle basta tuffarsi nel nostro lago ghiacciato, sentire i nostri brividi, osservarsi come "l’altro" di borgesiana memoria. Cadremo fuori dal tempo, anche noi, di nuovo. E magari lì, in quell’eterno presente, troveremo le nostre parole. Intanto mi godo quelle dello scrittore che ci regala le sue e che, come sempre, ringrazio.

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Avatar di Alma Gattinoni

Dopo la suggestione di un caso di memoria involontaria, solo accennato , segue ora la riflessione su come trovare le parole giuste per comunicarla a sé stessi e condividerla con altri. L'autore, che da solitario è diventato scrittore, si cimenta con il tentativo di tradurre in parole il sentimento della delusione, attraverso un intreccio di esempi, con più personaggi. "Quella di italiano" è delusa che il suo approfondimento sul Kosovo non abbia ispirato nessun tema, nemmeno da parte del solitario. Accusa senza appello di "deludente, monco, scialbo" lo scritto del pur dotato studente, che a sua volta rimane deluso per questo giudizio. Eppure il solitario sente di aver inseguito nella mente l'esattezza di un istante, di una mattina di luglio, in un lago di montagna. Ma non ha gli strumenti per tradurre tutta la profonda emozione che aveva provato. Si limita a un generico "senso di benessere", che si può scambiare con il soddisfacimento di un bisogno fisico, anche se è molto di più. Ma poi succede che i piani temporali si squadernano e si intersecano. Il sedicenne, otto anni più tardi, avrà la fortuna di sentire raccontare da un vecchio scrittore l'esperienza vissuta da adolescente (un cardellino posatosi sulla sua spalla) e la reazione, per lui deludente, della madre, rimasta indifferente alle sue parole, perché incapaci di trasmetterle il senso di quel piccolo importante accadimento. Il racconto del rammarico provato dallo scrittore servirà al solitario per prendere consapevolezza di non essere riuscito a raccontare la "pienezza" di quell'istante, di quel sentirsi tutt'uno con l'acqua gelida di quel lago, con il proprio corpo che si abbandona "al sentimento dell'essere vivo". Un panteismo personale, scoperto al di là dei contenuti scolastici, recuperato nella memoria. Quella delusione, però, ha condensato la sua cultura e ha fatto da stimolo a riprodurre "in scala" con le parole l'intensità delle emozioni. Questo sdoppiamento del sé, questo essere contemporaneamente il ragazzino e lo scrittore che lo osserva è il futuro rivelato del solitario. Non basta un aggettivo per questa sua "chiamata": il climax rende bene le diverse sfumature dell'autoconsapevolezza da grande. Anche l'artista è deluso. Non è il suo il tema che l'insegnante leggerà, ma quello scritto da lei, che gira intorno a "una notte buia e tempestosa" di gennaio, sul set di un film. Così l'autore riannoda i fili del suo racconto e il lettore, forse un po' deluso che ancora sia rimandato lo spunto generato da Matrix, si avvia finalmente a conoscere qualcosa di lei.

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