IV.2 "Magnolia"
La nostalgia del presente che ti muore fra le mani
Arriva in ritardo, di notte, va letta forse di notte.
Le puntate precedenti si leggono qui
(segue)
Dev’esserci una ragione, penserà il solitario scrivendo, in un pomeriggio di fine agosto, uno strano romanzo a puntate intitolato 1999.
Dev’esserci una ragione!
Accanto a lui, seduto ai tavolini di un bar non lontano dal mare (ma il mare non si vede, ed è bene così, il mare distrae!), due sconosciuti parlano delle vacanze ormai al termine.
“Quindi, come è passata l’estate?” chiede uno.
“Veloce” fa l’altro. E non c’è molto di più da dire.
Dev’esserci una ragione, penserà il solitario tornando a concentrarsi sulla scrittura, se la puntata intitolata “Il tema” è piaciuta più di altre. O più di tutte.
La cosa potrebbe/potrà anche fargli piacere, ma – come sempre gli capita, è un suo tratto distintivo – anziché compiacersene, farsi bastare il dato, starà lì a rimuginare a lungo. Dev’esserci una ragione, appunto. Qual è la corda che, involontariamente, ha toccato? È il fatto di avere svelato qualcosa in più di lei? È il desiderio, la tensione generata dal desiderio, che sale?
Resta un mistero quasi insondabile la cosiddetta ricezione.
Ma il gioco serio della letteratura (della creazione) è tutto lì.
L’insegnante in cattedra nel 1999 non ebbe nessuna emozione dal tema in cui il solitario si era illuso di comunicare l’intensità di un momento vissuto.
Qualche lettore o lettrice del 2025, al contrario, manifesterà la propria partecipazione emotiva – forse perfino estetica – per il capitolo di un romanzo a puntate. Quello intitolato “Il tema”.
1) “La puntata di oggi mi piace tanto!” 2) “Tra le più belle... tra le parti del romanzo più sincere e vere...” 3) “Per ora la mia preferita... L’amore, l’invidia” 4) “Una grande puntata... Forse chiarisce il fatto che siamo incapaci di ascoltare (e rispondere) quando parlano gli altri, e di parlare davvero quando sarebbero pronti ad ascoltarci” 5) “Conclusione perfetta, da spadaccino provetto.” 6) “Tutti i personaggi sono a fuoco.” 7) “Finalmente il tema di lei. E una puntata bellissima.” 8) “La puntata più intensa.”
Non è preventivabile e tanto meno determinabile questa sorta di reazioni. Il bello, per il solitario, sarà avvedersene in tempo reale: come se l’insegnante sua lettrice nel 1999 si fosse moltiplicata in questo drappello di anime leggenti nel 2025. È suonata la campanella, lui consegna trepidante, affaticato, loro leggono, e quando vogliono emettono una specie di responso. Così la scrittura trova il suo destinatario, come in una lettera finalmente consegnata. Il destinatario, in altre parole, non è irreperibile o assente. Non è un’astrazione. Non è, peggio, una proiezione di sé.
Dev’esserci una ragione, comunque, continuerà a pensare il solitario in un pomeriggio di agosto, seguitando a scrivere lo strano romanzo intitolato 1999. E dopo avere passato diverse ore a cercare di individuarla, si rassegnerà. Anzi, si accontenterà. Si accontenterà di pensare che i lettori e le lettrici devono avere sentito esattamente ciò che, scrivendo, ha sentito lui.
Un desiderio al presente.
Inutile filosofeggiare più del dovuto. Si è ritrovato a essere spettatore di sé stesso: lui nel ’99, lei nel ’99. Li ha visti. Li guarda. Vuole guardarli. Non farebbe altro che guardarli. Se potesse, si reincarnerebbe nel ragazzo che sta di fronte alla ragazza che qui viene chiamata “lei”. Non importa se, a differenza di quei due nel 1999, lui conosce il seguito.
Non importa se il seguito non è il seguito che vorrebbe.
Lasciatevi guardare.
“Ah” fa il solitario.
“Non vuoi sapere?”
“Sì, vorrei sapere.”
E tu ferma, non rispondere. Non subito. Aspetta. Cristo, aspetta. Lasciati guardare. State fermi. Immobili nell’esitazione. Siete solo voi due. Quello che lei dirà, adesso, non conta. Conta che siete voi due. Non c’è l’artista, non c’è il muscoloso, non c’è nessun altro. Siete nel cortile di scuola e siete voi due.
Ma perché non può essere soltanto questo, vivere? Perché non è stato solo questo? Due sedicenni che parlano, chiusi al mondo, in un cortile di scuola.
Forse è valsa la pena sbucare da un canale uterino per trovarsi lì. Trovarsi lì senza rendersi conto di trovarsi lì. O su una spiaggia in estate. Guardateli i sedicenni che vi passano accanto, ignorandovi, o si tuffano in acqua rumorosamente. C’è quel tizio che prende in braccio una ragazza e fa la cosa più scema, così ovvia e così scema e prevedibile che non potrebbe fare che quella: lanciarla in acqua mentre lei si dimena, finge di divincolarsi, gioca a protestare, ma non serve, lo sa bene anche lei, non serve, perché è giusto finire in acqua, avere un brivido nel tuffo forzato, lasciarsi sfiorare le tette – scusami, scusami – e ridere, fingere di incazzarsi. Guardateli i sedicenni con i loro fisici tonici asciutti – i maschi, con quelle mezze proboscidi attaccate al pube che ballano sotto i costumi mentre giocano a pallavolo sotto un sole inclemente. Mica lo sanno di avere sedici anni. Non sanno niente. Guardateli mentre parlano e fumano con naturalezza recitata, che è un controsenso ma è tipico di un’età in cui non sai che età hai, e parlano di niente. Come gli adulti, sì, come gli adulti: ma con un’intensità, uno sperpero di energia che tanto non si esaurisce, non si esaurisce mai – ed è abbagliante, al confronto di quella delle conversazioni della gente di mezza età; è la differenza che c’è tra una luce che chiamiamo naturale e calda, e una luce fredda, al neon. Poi restano due strade: scivolare nel tempo dell’indifferenza, del borbottio, non sussultare più, spegnersi, spegnersi risentiti, oppure continuare a scottarsi alla vampa, rubarne il bagliore almeno con gli occhi. Rubare. Rubare la bellezza. Stealing Beauty.
E che te ne fai? Niente.
Contemplare il presente altrui.
Fa bene, ma fa anche male.
(Devo divagare. Ne avverto l’urgenza, dopo avere ripetuto più volte la parola presente. A proposito di un romanzo che il solitario scriverà all’inizio degli anni Venti del Ventunesimo secolo, a proposito della frase che chiude quel romanzo – “Esiste il presente. Esiste solo il presente” – un paio di critici gli rimprovereranno lo spirito confortante della sentenza, la facilità del suo carpe diem alla buona. Ecco, no! Quello che scambieranno per un invito – tutto sommato, in questa chiave, poco originale – a vivere l’istante, è piuttosto una greve constatazione. La frase andrebbe letta come una tautologia quasi disperata. Esiste solo il presente perché esiste solo il presente. Ripetete con me, critici: esiste solo il presente perché esiste solo il presente. No, non è nemmeno un atto di prostrazione al dominio dell’Attuale, nell’era che si dice dimentichi e cancelli a velocità vertiginosa. Non è questo. È solo la percezione cruda di un limite. Poi per carità, puoi fare lo sforzo di riconoscere l’attimo, di provare a farlo durare – di nuovo: attimo, fermati, sei bello! – ma è comunque un’illusione; e anche senza sforzi, solo questo abbiamo: il presente. I critici e in genere gli storici si fidano forse del passato perché è la materia che investigano e modellano: ma esiste il presente di Gadda, che non è il loro, un presente sotterrato, sepolto; e il loro presente mentre si occupano del povero Gadda che li ignora e nemmeno può compiacersi di quella loro devozione o insistenza. Muore il famoso conduttore italiano. Corrado: giugno 1999. Baudo: agosto 2025. Non c’è nessun presente per loro. Il presente dei loro funerali ha riguardato o riguarda solo i partecipanti al cordoglio. La loro gloria non è coniugabile al passato remoto. Sempre maggiore sarà il numero dei vivi che li ignora. Forse i critici credono in un futuro generoso con loro? Non lo sarà. Esiste solo il presente, per tutti. Per Donald Trump, per Vladimir Putin con al seguito, nelle trasferte, i custodi delle sue feci, per Musk, per Bezos; per ogni re, pontefice, scrittore, artista, per il solitario e per lei, per tutti noi).
La nostalgia del presente che ti muore fra le mani.
Solo di questo posso scrivere.
La frase è in un’intervista fatta a un regista famoso, Bernardo Bertolucci. L’intervistatrice gli chiede che cosa gli sia rimasto di suo padre, il poeta Attilio.
Tra le cose sue, dice, che mi sono rimaste addosso, una è «la necessità di vivere la vita quotidiana in maniera non traumatica, e sempre celebrativa». L’altra è la nostalgia. La nostalgia di che?
«La nostalgia del presente che ti muore fra le mani», risponde Bertolucci.
Si scioglie in questa frase un grumo. Il solitario lo sente fermo in gola mentre vanno sullo schermo – in un pomeriggio estivo (troppa luce fuori: ha abbassato gli scuri per “fare il cinema”) – le scene di un film uscito da due o tre anni. Ha comprato il vhs allegato a un giornale.
Il titolo del film, in italiano, è Io ballo da sola. In inglese, Stealing Beauty.
Si innamora della ragazza Lucy/Liv Tyler.
La desidera mentre nasconde una fotografia di sé stessa bambina nel reggiseno. La desidera durante il suo bagno in piscina con un costume nero. Ama quello stupore calmo, mentre nuota. Ama la foga di un suo ballo solitario. Ama vederla godere, masturbarsi, subito dopo avere pianto.
Tiene il dito quasi fisso sul tasto che riavvolge il nastro. Rivede la scena una due tre quattro volte. Vorrebbe passare la lingua sullo schermo del televisore come Lucy, in una scena, fa con uno specchio.
Chiunque le giri intorno, non può toglierle gli occhi di dosso. Non è solo eros, o meglio: non è solo una questione sessuale. È lo splendore del presente di lei, la grazia della sua giovinezza, a cui sembrano partecipare anche le stanze, gli oggetti, gli elementi naturali. Il paesaggio.
Disse Bertolucci che avrebbe voluto incarnarsi in lei, nella ragazza, e in tutti i personaggi, come sempre fanno un regista (o uno scrittore), ma qui perfino in un cespuglio: per fermarsi un istante e guardare, “come se facessi parte della storia, un cespuglio che si mette a tremare… Il cespuglio può diventare importante. O una porta che sbatte”.
Ora nello schermo il volto di Lucy si sovrappone a quello della ragazza nel cortile della scuola. Ora nello schermo la ragazza nel cortile della scuola non è nel cortile della scuola ma in una piscina, d’estate, fa un bagno indossando un costume nero. Nuota con uno stupore calmo. Ora nello schermo la ragazza balla. Non l’ha mai vista ballare. La vede ballare, da sola, in una manciata di fotogrammi di questo film. Ora la ragazza piange e poi si tocca. Ora la ragazza si scopre un seno e si lascia guardare. Ora, in un’altra scena, c’è solo un lembo di stoffa bianca a nasconderle il sesso.
Ora lui non riesce più a resistere. Rimanda indietro la scena, riavvolge il presente tre quattro cinque sei volte e sta per godere con lei, come se le entrasse dentro, dev’essere così, no, più forte, non lo sa, non sa niente, non sa nemmeno che ha sedici anni, sa il piacere che sta provando, gli sembra di sentire il battito del cuore lì, mentre se lo stringe, mentre impreca, mentre ritorna più indietro nel film, dove un ragazzo è sopra di lei e le passa la lingua sulle spalle, intorno alle ascelle, e le dice una frase stupida se non si è eccitati, le dice: sto morendo per te, ma adesso anche lui sta morendo, mentre arriva una specie di scossa, la scarica misteriosa prodotta dal lavorio di organi interni e muscoli e terminazioni nervose e chissà, e uno scenografico getto di sperma, mentre pensa che muore, sta morendo per lei, e dovrebbe saperlo, dovrebbe vederlo, è assurdo che non sia qui, in questo presente, è assurdo tanto più per la frase con cui ha reagito al “Sì, vorrei sapere”. Una frase che gli ha scatenato una tale rabbia e una tale furia da diventare questa furia. Dovrebbe vedermi.
“Non vuoi sapere?”
“Sì, vorrei sapere.”
“Be’, non so se ti conviene.”
“Sei stronza.”
“Sei sicuro?”
“Mi ha detto una cosa che sa di te.”
“Dimmela.”
“Mi ha detto che ti piacciono i ragazzi.”
(continua)



Puntata percorsa da felici contraddizioni e dal riapparire dei temi importanti, in vesti sottilmente nuove. A chiare lettere, il solitario coincide con l'autore, o meglio, l'autore è pirandellianamente spettatore del sé stesso solitario. Chi scrive nel 2025 con lo pseudonimo di "solitario" si reincarnerebbe in lui, anche se, a differenza di lui, "conosce il seguito", che non è quello che vorrebbe. Proprio come il regista Bernardo Bertolucci che si incarnerebbe volentieri persino in un cespuglio, pur di far parte della storia di Lucy nel film "Io ballo da sola". D'altronde, la connessione tra la scrittura narrativa e quella cinematografica è ben raccontata dalla metafora presa alla lettera del "riavvolgere il nastro" per rivedere una scena quattro volte di fila e innamorarsi della protagonista, della "grazia della sua giovinezza" e un'altra scena vista "tre quattro cinque sei volte" per scatenare il meccanismo del desiderio da adolescente in costruzione, mescolando e sovrapponendo "lo splendore del presente" di una lei in pellicola con la concretezza della "lei" in carne e ossa, filtrata dalla memoria personale. Alla rilevanza della voce narrante così definita, si allacciano "l'irruzione del presente" e la citazione funzionale del regista Bertolucci, erede del poeta Attilio, "la nostalgia del presente che ti muore fra le mani". Così, si passa dalle ore notturne della scrittura, ai tavolini di un bar non lontano dal mare, con il flash di due sconosciuti che commentano il passaggio veloce dell'estate, all'urgenza di una lunga divagazione, sottolineata dalle parentesi. La morte recente del famoso conduttore Baudo, che come tutti "non godrà di una gloria coniugabile al passato remoto" è audacemente affiancata al finale di un romanzo dell'autore ("Romanzo senza umani"): "Esiste il presente. Esiste solo il presente", scambiato da una critica superficiale per "carpe diem alla buona", in realtà "percezione cruda di un limite" che riguarda tutti. Ma poeticamente questo presente, che subito si eclissa mentre ancora pare di averlo tra le mani, è salvato almeno dalla scrittura, che prova a far durare l'attimo, il faustiano "Attimo, fermati, sei bello!". La scrittura che indaga la "naturalezza recitata", lo "sperpero di energia inesauribile" degli adolescenti inconsapevoli di avere sedici anni. La scrittura che "ruba la bellezza", lo spettacolo della loro età, capace come è di "contemplare il presente altrui", anche se per l'autore è il proprio presente, ma visto da lontano. Come sutura tra le due ultime puntate, la frase omessa ("Mi ha detto che ti piacciono i ragazzi"), rivelata nel finale, sorprende e genera "rabbia e furia". Ma forse è la premessa di una riflessione su come ci vedono gli altri, come ci giudicano, armati di pregiudizi e di obiettivi inconfessabili. Un buon motivo di attesa per il drappello delle anime leggenti, scriventi il responso in tempo (quasi) reale, destinatarie "presenti", anche se digitalmente. Resta il "mistero insondabile" della ricezione e delle corde più o meno involontariamente toccate.
Eh no. Non è giusto. Proprio quella lei che gli ha fatto “riavvolgere il presente tre quattro cinque sei volte”, quella lei per cui gli è sembrato di morire, quella lei … ora gli dice questo. Le infinite vite possibili! Che cosa sarebbe successo se anche il solitario avesse partecipato al set cinematografico preparato dall’artista? Sarebbe stato con lei, magari dietro il divano. Le avrebbe preso la mano, per farle coraggio. E chissà. Invece eccola, la staffilata. Ribellati solitario, dille quello che provi, ripensati davanti al film, fa’ parlare il tuo corpo; per un momento allontana le tue passeggiate cerebrali, per un momento ascolta i tuoi sensi, tutti e cinque, e lascia che abitino lo spazio fra te e lei, anzi che annullino la distanza fra te e lei. Perché la vera differenza fra l’adulto e il sedicenne, quei sedicenni che il solitario ormai quarantenne osserva al mare, è proprio questa. Loro sono corpo. Loro riempiono col corpo il presente. Sono bellezza non contaminata dalla nostalgia di un presente che “si sfarina fra le mani”. L’adulto sa che quel presente passa e ha ormai paura di occuparlo. Il sedicenne vive il suo attimo solo per possedere quello e non altri presenti. Da lui, da loro, ogni giorno imparo io, in classe. Perciò oggi posso dirti che, nonostante i cinquanta siano passati, abito questo presente e lo godo, tutto e intero. Godo l’aver guardato fino a prima di spegnere la luce se la puntata fosse uscita e godo il risveglio mattutino con la notifica del regalo notturno. Perché anch’io felice di far parte di “questo drappello di anime leggenti”, ci sono, qui e ora. Perciò, come sempre, grazie.