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Avatar di Rosaria Fiore

Che puntata! Sono rimasta senza fiato. Intanto la raffinatezza di quell’immagine che ci ha accompagnato settimana dopo settimana, quel fuoco che è andato consumandosi poco a poco, inavvertitamente, ingannevolmente quasi, per via di quelle scintille che si prendevano tutta la scena distraendoci dal bastoncino che andava via via annerendosi. E che adesso se ne sta lì, nudo e bruciacchiato, sipario che calando fa il buio, restituendoci a noi stessi, alle nostre vite più o meno ordinarie. E il senso di vuoto e smarrimento e tristezza è un po’ quello. E adesso? Ma c’è ancora un po’ di tempo, in realtà. Già domani ci aspetta un regalo grande (grazie!) e poi altre tre puntate. Spalanchiamoli bene gli occhi nella semioscurità di questo ultimo miglio. Non lasciamoci ingannare o fuorviare dalle apparenze e dalle maschere. Ma soprattutto cerchiamo di capire come riusciranno i nostri personaggi a uscire dal groviglio di maschere e apparenze in cui si sono avviluppati.

Ancora una volta lo Scrittore si rivolge a una lettrice in prima persona. E lo fa per parlare di ciò che è o non è autentico o meglio di ciò che suona o non suona autentico. Può un ragazzino di 16 anni esprimersi con frasi come “Una sorta di cataclisma che è arrivato e ha scosso quella specie di muro ghiacciato che circonda il mio io”? Personalmente non ho avuto il minimo dubbio che fosse una frase autentica, ma non nel senso che poi ci ha mostrato lo Scrittore, nel senso di un’autenticità attestata da prove autografe (ancora una volta la bella grafia tondeggiante e armoniosa del Solitario), ma nel senso di autentica per quello specifico ragazzino di 16 anni, il Solitario, appunto, che non poteva che esprimere sé stesso attraverso quelle parole lì. E allora mi chiedo, Che autenticità cerchiamo, da lettrici e lettori, quando leggiamo un romanzo? Quando leggiamo uno scambio di battute tra personaggi? Dipende dal romanzo, dipende dai personaggi e dipende da chi l’ha scritto. A noi spetta di sospendere la nostra incredulità e di accogliere ciascuno nell’autenticità che l’autrice o l’autore gli ha consegnato. L’idea che l’autenticità sia soltanto mimesi (ben sapendo che trattandosi di mimesi si tratterà comunque di qualcosa di diverso dal reale, di un’imitazione appunto) mi fa pensare a un futuro in cui alle macchine si chiederà solo quello, dialoghi che funzionino secondo la nostra idea di quello che può funzionare. Dialoghi tutti uguali e assolutamente prevedibili. Un’idea agghiacciante. “La realtà fa una concorrenza sleale alla letteratura”. Ecco, appunto. La realtà spariglia le carte. Lo dice Magris, lo diceva già Pirandello. Che privilegio, poi, quello squarcio sulla bottega dello Scrittore. Cosa entra e come entra nella sua scrittura. E il presagio e quel dialogo che è uno dei più emozionanti di tutto il libro. Le parole congelate, la voce che trema, il ghiaccio che conserva, una vita messa nel freezer. “Il muro ghiacciato che circonda il mio io”. Davvero, davvero profetico. “[…] l’esistenza umana si snoda fra anticipazioni, presagi misteriosi, indizi che si chiariscono a lungo termine; ripete e si ripete, lascia maturare una sua inaggirabile e, sulle prime, acerba matrice.”

“C’è una necessaria freddezza, una distanza che la scrittura deve istituire nei confronti del suo oggetto, anche o forse anzi soprattutto se e quando si tratta di un oggetto o di una persona particolarmente importante o amata, perché senza questa distanza, inevitabilmente “fredda”, non è possibile nessuna vera scrittura.”

Il Solitario conosce già questa lezione anche se quello che sta scrivendo richiederebbe forse “il calore di mucca del sentimento”. E, invece, no, invece i credo, i forse e le domande accorate: “che devo fare?” “come devo fare?” Io ci trovo una grandissima tenerezza in queste domande. E l’istinto è quello di abbracciarlo e riempirlo di carezze. Perché a 16 anni cosa ne sappiamo dell’amore? Di cosa fare e di come farlo? E forse tutte le volte che ci innamoriamo ritorniamo sedicenni smarriti. Pieni di dubbi, di domande e di confusione. E di paure.

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Avatar di Alma Gattinoni

Il tempo-spazio della scrittura "invecchia in fretta", è agli sgoccioli. Anche la scintilla sulla copertina si è spenta. Ma il cantiere si illumina di progetti e risponde alla fretta con una formidabile lentezza, attraverso una lunga digressione, abitata da una staffetta che si snoda tra l'Autore, Claudio Magris, Thomas Mann. Il bello di questa puntata è quindi un meta-romanzo che si rivolge a una Lettrice (come non pensare alla Ludmilla di Calvino?), per rispondere alla sua obiezione, in un dialogo a distanza e per ragionare su un aspetto importante della propria poetica. Magnifica opportunità entrare nell'edificio della scrittura. L'Autore è come se scrivesse una lettera alla Lettrice amica, svelando che la lettera introdotta nel romanzo non è così lontana da quella scritta dal Solitario sedicenne, anche se molto prosciugata rispetto alle sette pagine dell'originale. Quelle parole all'interlocutrice sembrano (oh le apparenze!) inautentiche, suonano false perché troppo forbite, poco plausibili per un adolescente, "speciose considerazioni". Ma la difesa è abile, non rivendica con stizza la gestione esclusiva delle pagine da parte dell'Autore. Si basa su prove inconfutabili e su un ipse dixit illustre, lo scrittore triestino che stigmatizza, dalla sua grande esperienza di vita e di scrittura, la legge sottesa: "La realtà fa una concorrenza sleale alla letteratura". La testimonianza autografa delle fonti della frase incriminata (il cataclisma che ha scosso il muro ghiacciato che circonda l'io) elimina ogni dubbio. C'è posto anche per una riflessione sullo scrivere autobiografico dell'Autore, che tende a "omettere, sfumare, camuffare, rimodellare " e a rischiare l'accusa di inattendibilità , se la scelta di citare con esattezza una frase, detta o scritta, si impone "per fedeltà al vissuto". La lettera a Lei esiste nella realtà, è non solo presente nella forma cartacea, ma ha agito negli anni, ha lavorato come presagio nella memoria, come "indizio a lungo termine" e troverà altra vita in un dialogo determinante nel "Romanzo senza umani", nelle "parole congelate" di Rabelais, che si sono conservate fino al momento del disgelo. Molto amabile e autoironico il ritratto dell'autore da cucciolo, all'origine della lingua "aulica", nutrita da una lettura precoce di "libri oltremisura", nell'investimento sulle strategie sintattiche più che sull'esperienza diretta. Così, la sostanza dell'essersi innamorato trova "una necessaria distanza, una necessaria freddezza", che è controllo del "calore di mucca del sentimento" (Thomas Mann). L'Autore si concede una disperata tenerezza per questo ragazzino "comico spaventato guerriero", come direbbe Benni, che preferisce annotare "in punta di piedi" il suo amore, ma senza dirlo a Lei chiaramente. Un "povero stupido atterrito sedicenne" che non sa come affrontare "le carezze una volta finita l'infanzia". Questo esemplare gioco di scatole cinesi ha un cuore finale nell'ultima pagina, che riannoda i fili con i quattro personaggi, con lo slancio generoso del Muscoloso, il tentativo di ricucitura dell'Artista e la cassetta pirata dell'ultimo film di Stanley Kubrick da vedere insieme.

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